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17 ANNI EMIGRANTE
17 ANNI EMIGRANTE IN SVIZZERA
Martedì 17 Gennaio 1967 ore 16,00 dopo aver salutato mamma papà ed il nugolo di amici e curiosi, la macchina, una vecchia124 di colore scuro, mi portava verso la stazione ferroviaria di Isernia.
Continuavo a voltarmi ed il mio paese, Colli a Volturno “La piccola Parigi”, quel presepe che mentre mi allontanavo diventava sempre più piccolo, fino al suo sparire.
La piccola Parigi perché negli anni 20 del secolo scorso, fu il primo paese della valle del Volturno ad avere l’illuminazione pubblica e per quella illuminazione venne paragonata impropriamente a Parigi (almeno così si racconta).
Le lacrime che prima non erano uscite mi accompagnarono fino alla stazione di Isernia, li un vecchio autista del paese mi fece scendere rincuorandomi, cercando di dirmi che quella strada non ero il primo a farla, io la stavo solo percorrendo in quando il tracciato l’avevano fatto altri.
Tutto vero, ma avevo solo 17 anni, mai uscito di casa tranne che una gita a Napoli, con la scuola che avevo frequentato controvoglia “l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato Sezione Elettricisti di Colli a Volturno”.
Ero diretto in Svizzera, dove a detta di tanti, i soldi si facevano a palate, destinazione Munchwilen nel cantone THURGAU dove mi ero ripromesso di andare e spaccare il mondo, in sostanza fare strada e carriera per poi rientrare al paese natio.
Beata gioventù, gli anni che precedevano la contestazione delle scuole e delle piazze, senza saperlo avevo nel cuore il 68 anticipandolo con la contestazione continua verso mia madre che non mi voleva lasciare andare.
Essendo minorenne, occorreva la firma sul passaporto di uno dei genitori. La mise mio padre dicendomi:” vai, fatti onore e ricordati solo del cognome che porti”.
Avevo lasciato gli amici del Club Ciao Amici che avevo fondato solo per avere un luogo dove trovarci per suonare, in Italia era l’inizio della formazione dei complessi Beat – L’Equipe 84, I Dik Dik, I Corvi, Camaleonti, Nomadi ecc; seguendo le orme dei più blasonati gruppi inglesi e noi non facevamo eccezione, volevamo emularli.
Quindi con una valigia di cartone pressato, devo dire anche bella, non di quelle legate con lo spago, riempita di indumenti e piena zeppa di speranze e illusioni di voler scalare e cambiare il mondo, con un pantalone modello Clan Celentano, bicolore ed a zampa di elefante una camicia a fiori e sopra una giacca, moda giovanile, color marrone chiaro, quadrettata con cinque bottoni con collo alto e poi un cappotto Trench sul viola quasi fosforescente, non sembravo certamente uno dei soliti emigranti.
Invece emigrante lo ero a tutti gli effetti, come tutti gli altri anche se il mio modo di essere vestito e la giovane età potevano indurre a far pensare ad altro.
Con me avevo anche la fedelissima compagna, una chitarra Eko comperata con i miei risparmi, dal negozio di strumenti musicali DI NEZZA ad Isernia.
Avevo chiesto ai mia madre fare uno sforzo, di mandarmi a Chieti o a Napoli per conseguire con gli ultimi due anni il diploma di Perito Elettrotecnico, ma causa delle ristrettezze economiche non era stato possibile, e da qui nasceva la mia contestazione.
La scuola mi piaceva e tanto, non perdevo occasione per leggere libri, riviste anche vecchie e ritagli di giornali, la mia sete di apprendere, la curiosità per ogni argomento non fermavano la mia arsura
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di voler conoscere, purtroppo la scuola l’ho frequentata in tarda età per motivi di lavoro e comunque ho continuato a fare tantissime cose che non avevo avuto occasione di fare.
Ore 17,35 la suoneria Leopolder posizionata sul fronte del fabbricato del primo binario, con il suo ticchettio inconfondibile, annunciava l’arrivo del treno, proveniente da Campobasso.
Una Littorina a gasolio (ancora oggi viaggiano in questo modo nonostante sia stata realizzato un pezzo di elettrificazione) credo AL 556 della Breda con destinazione Roma Termini, era quasi pieno di viaggiatori, sistemata la valigia presi posto vicino al finestrino per guardare meglio il paesaggio, sul treno faceva abbastanza freddo.
Nel treno una puzza di nafta impossibile a resistere, ma quello era il mezzo di trasporto e non si poteva fare nulla per cambiare.
Vi chiedete perché conosco suoneria e treno? perché poi per 35 anni ho lavorato presso le Ferrovie dello Stato scalando la classifica delle qualifiche arrivando ad ottenere il ruolo di Dirigente del settore Infrastrutture in qualità di Quadro.
Da Operaio qualificato, Operaio Specializzato; Capo Tecnico, Capo tecnico Superiore, Capo tecnico Sovrintendente e Quadro.
Iniziato a Treviglio (BG) poi Milano, Cremona e poi Milano Grattacieli di RFI a Milano Porta Garibaldi fino al 30.12.2003 data di pensionamento volontario.
Prima Tappa Vairano Caianello, il treno doveva entrare in stazione e poi i macchinisti cambiavano vettura prendendo quella di coda perché la marcia verso Roma si invertiva, quindi tra sosta e giro del personale e via libera una mezzora abbondante prima che il Capostazione desse il via libera per la partenza, si incontravano le fermate a Cassino e Frosinone poi di corsa verso Roma termini con arrivo alle ore 20,00.
Strano ma vero facendo perfino vergognare gli svizzeri, che della puntualità né hanno fatto un vanto, il treno arrivo in perfetto orario.
Ore 23,35 Binario 4 partenza del treno direttissimo per Zurigo, naturalmente grande fu l’assalto di per la conquista dei posti di quanti andavano o tornavano in Svizzera, con i bagagli che venivano issati dai finestrini, ressa indescrivibile.
Facendomi largo con la chitarra a tracollo con borsa e valigia nelle mani, riuscii a salire e prendere posto, dalla borsa presi un panino, due fette di pane con la frittata che mia madre aveva preparato, e mi misi a mangiare, di gusto perché avevo anche un poco di fame.
In borsa mi aveva messo anche una bottiglietta del vino che producevamo noi con le uve della nostra vigna, un misto di Montepulciano, Albana, Clinton ed una uvetta nera chiamata Giapponese, veniva fuori un vinello chiaretto con poca gradazione ma gradevole al palato e che si accompagnava bene quasi con tutti i piatti.
Lo scompartimento era di sei posti, con i sedili in pelle marrone che si allungavano, feci subito amicizia con gli altri viaggiatori naturalmente tutti del Sud e tutti con lo stesso mio problema.
Spiegai che avevo un contratto di lavoro con la società AG Tullindustrie di Munchwilen e dovevo presentarmi entro il lunedì successivo, a Munchwilen mi aspettava mio cugino Antonino, figlio di Anita deceduta nel 1956 per un male incurabile, sorella di mio padre che aveva provveduto a farmi avere il contratto nella stressa azienda dove lui lavorava. In parte ero anche fortunato, sapevo che potevo contare su qualcuno.
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Intanto il treno macinava km sbuffando e toccando le fermate di Firenze e poi Bologna, dopo stanco morto crollai addormentandomi.
Erano le 7 cica del mattino quando venni svegliato da due poliziotti svizzeri, della dogana di Chiasso, il treno si era fermato e mi fecero scendere, insieme agli altri occupanti, per le visite mediche necessarie all’ingresso, dovevano verificare che non fossero portatori di eventuali malattie trasmissibili.
Quindi, con i bagagli lasciati sul treno, tutti incolonnati direzione ambulatori medici, sembravamo una colonna di deportati avviati ai campi di lavoro.
Avevano preso il passaporto ed il Contratto di Lavoro, mentre in treno avevano chiesto se per i bagagli avevamo dichiarazioni da fare, ma in quei bagagli non si esportava merce preziosa ma solamente la speranza, la merce preziosa erano le nostre braccia utili al lavoro.
Eravamo stati parcheggiati in un grosso androne, con grandi finestroni e arredato con una serie di panchine in legno per far sedere e riposare durante l’attesa, mentre uno la volta si veniva chiamati da un minuscolo altoparlante che invitava a presentarsi ai vari ambulatori specificando anche il numero per essere sottoposti a visita.
Una cosa simile mi accaduta alla visita militare fatta presso il Distretto di Foggia e poi ovviamente durante il servizio militare, in quelle grandi camerate. 3 giorni pieni che mi avevano fatto evadere dalla solita routine.
Fra l’altro, mi avevano chiesto se volevo fare il corso sottufficiali, ma gentilmente dissi di no, in quando essendo terzo figlio mi spettava l’esonero, cosa che avvenne. Ma poi per carenza di leva mi chiamarono a svolgere il servizio militare, non solo me come terzo figlio, ma anche gli altri due fratelli dopo di me.
Il tempo passava inesorabilmente, dopo un paio di ore venne il mio turno, come da copione mentre il medico compilava un modulo ”si spogli, ha avuto malattie, i suoi genitori sono viventi, i suoi fratelli hanno avuto malattie ecc;”
Si alzò prese lo stetoscopio lo avvicinò al petto e mi ascoltò, poi lo stesso con le spalle “Respiri, non respiri, trattenga il fiato ecc;”, va bene, si rivesta ed attenda insieme agli altri ed esca dall’altra porta.
Dopo una buona ora arrivò un poliziotto con il mio passaporto, timbrato dall’uffici doganale che certificava l’ingresso in Svizzera ed il mio contratto di lavoro e venni accompagnato al treno che era in attesa di essere riempito da quelli che stavano sostenendo la visita medica ed i vari accertamenti.
Ci accompagnarono al treno già posizionato ed in attesa della partenza, tornando al mio posto, controllai la mia valigia e la borsa, era tutto a posto.
Avevo bisogno di darmi una pulita, almeno lavarmi la faccia, con coraggio scesi dal treno e velocemente da una fontanella in ferro lungo il marciapiede mi sciacquai la faccia asciugandomi con il fazzoletto e di corsa ritornai a sedere.
Intanto la mia mente vagava, sembrava essere in viaggio da tantissimo tempo e già pensavo a quello che avevo lasciato, affetti, amici ed una vita protetta, mentre la mia durezza di testa modello calabro, la mia caponaggine mi aveva condotto verso quella strada che stava diventando un tunnel.
Ogni tanto un’altra squadra di persone che aveva sostenuto la visita rientrava sul treno, alcuni in silenzio altri invece brontolavano nel loro dialetto. Non capivo quasi nulla di quello che dicevano.
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Ero completamente digiuno. Avevo bisogno di fare colazione, di mettere qualcosa nello stomaco, potevo andare alla buffetteria della stazione ma non avevo il coraggio di scendere dal treno, se poi venivo ripreso oppure il treno partiva lasciandomi a terra?
Dalla borsa tirai fuori due tarallucci al vino e cominciai a masticarli, intanto il treno andava riempiendosi, era quasi mezzogiorno, finalmente il treno riprese la corsa verso la stazione di Zurigo ed io tirai su, un bel sospiro di sollievo.
Non presi più sonno, ma ero meravigliato nel panorama che mi si presentava, montagne imbiancate e pini pieni di neve, veramente una cartolina fiabesca, dalle mie parti ci sono pochi boschi di pino, soprattutto querce e carpini, poi nevica ogni tanto e si scioglie quasi subito.
Finalmente il treno entra nella stazione di Zurigo e l’altoparlante annunciava: “BAHNHOF ZÜRICH - BAHNHOF ZÜRICH” e cominciai a capire che la mia lingua italiana non andava più bene, parlavano tedesco.
Erano ormai le 18 o poco più, dovevo cambiare treno con destinazione San Gallo e scendere a Wil, scesi di corsa con la mia valigia e borsa e mi misi a guardare il tabellone delle partenze, dopo una breve consultazione vidi il treno per St.Gallen, partenza ore 21,00 con fermata a Wil ore 22,35.
Andai al binario (Gleis) 12, il treno doveva essere ancora piazzato, nell’attesa mi misi a guardare quella stazione con la copertura ad archi in ferro, non avevo mai visto costruzioni simili, una opera mastodontica, al di fuori della mia immaginazione.
Lentamente il treno venne piazzato ed io mi accomodai, i sedili erano delle panche in legno molto lucide, le persone si accomodavano in silenzio o parlavano sottovoce con una lingua per me incomprensibile.
Guardavo le luci posizionate lungo il marciapiede, i cartelloni pubblicitari, sentivo gli annunci che si susseguivano, era un mondo sconosciuto, il mondo che avevo scelto e che cominciavo a scoprire.
Scorrevano nella mia testa i ricordi, sembrava già una vita trascorsa ed invece erano solo poche ore, pensavo al mio futuro, immaginavo come poteva essere, quello che potevo diventare, se avrei imparato la lingua, se sarei stato accettato, come poteva essere l’azienda che mi aveva fatto il contratto di lavoro, che aveva scommesso su di me senza vedermi, così a scatola chiusa.
Un turbinio di domande ed interrogativi nella mia testa, che era stata appena oggetto di un taglio radicale dei capelli. Mia madre non voleva che sul passaporto comparisse una mia foto con i capelli lunghi ed allora mi aveva imposto di tagliarli e dalla foto si vede che ero molto arrabbiato nonostante la signora, con la mano sinistra attaccata al cavalletto, con un occhio nel mirino della macchina e con un dispositivo sull’altra mano che doveva fungere da flash, mi invitava a sorridere.
Quindi una foto che riassumeva ancora una volta la mia contestazione verso la potestà genitoriale, soprattutto quella di mamma, non tanto quella di papà che era sempre stato più accomodante, mia madre buona di animo ma ferrea nella volontà e decisioni.
All’ora prescritta il treno si mosse destinazione St. Gallen, fermava in tutte le stazioni, dovevo fare attenzione a non sbagliare, dovevo scendere dopo le fermate di: Walliselle, Winterthur, Seuzach, Wangi, Sirnach e Wil la stazione dove dovevo scendere.
Con il cuore che viaggiava a mille, incollato come un francobollo al finestrino, cercavo di non farmi sfuggire nessuna fermata e finalmente ecco la fermata di Wil.
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Erano circa le 23, scesi dal treno seguendo la gente nel sottopassaggio e lentamente mi lasciai trasportare verso l’uscita.
Una serata freddissima, forse aveva anche nevicato nei giorni precedenti perché c’erano dei mucchi di ghiaccio che luccicava al riflesso della luce dei lampioni, abbottonai il mio trench misi in testa il berretto che era in dotazione e mi guardai intorno.
Il colore delle luci di quei lampioni non l’avevo mai visto, eppure avevo il diploma di Elettricista in bassa tensione, era veramente qualche cosa di nuovo.
Dovevo muovermi, capire come fare per andare a Munchwilen, mia madre mi aveva dato 15.000 Lire che avevo cambiato alla dogana di Chiasso con 105 Franchi svizzeri, ogni franco valeva 144 Lire.
Sapevo che c’era un trenino che da Wil portava fino a Fraunfelden (capoluogo del cantone Thurgau che fermava anche a Munchwilen, ma a quell’ora le corse erano sospese.
Pensai di prendere un taxi, e se poi spendevo tutte le risorse economiche, quanto costava la corsa, ma dopo un attimo di riflessione decisi di andare a piedi, mio cugino Tonino mi aveva detto che Munchwilen distava circa 5 Km, potevo farcela.
Tirai fuori il Contratto di Lavoro e sul retro scrissi l’indirizzo di mio cugino Antonio Angelone abitante in Pfaffembulstrasse 12 St Margarethen – Munchwiln, tornai di fretta verso il fabbricato della stazione dove c’erano delle persone e mostrai questo pezzo di carta.
Mi fornirono sommariamente le indicazioni, o almeno per me che non capivo assolutamente quella lingua, mi accontentai dei gesti che avevano dato.
Andare a sinistra fino ad arrivare alla grande strada, andare ancora a sinistra proseguire sempre su quella strada che portava direttamente a Munchwilen.
Mamma quanto cammino, quella strada larghissima con le macchine che sfrecciavano come saette, tentai anche timidamente di fare autostop, ma nessuno si fermava, dopo tanto cammino sulla mia destra trovai un cimitero, i capelli si alzarono sotto quel cappello tipo basco che avevo in testa, mamma che paura, in quel momento pensai all’errore che avevo commesso allontanandomi da casa.
Passato il momento di sconforto, mi sedetti su una panchina affogando il dolore mangiando gli ultimi taralli al finocchietto, l’ultimo sordo di vino che era rimasto nella bottiglietta e di nuovo a camminare verso la meta.
Meno male che la strada era in leggera discesa e quindi non facevo tanta fatica a camminare pur se ero stanco e quella valigia cominciava a pesarmi, intanto non c’erano più lampioni e e la luce era quella delle macchine che mi venivano contro.
Speravo di arrivare e dove? Come facevo a trovare l’indirizzo, ST. Margarethen dove era? Ma una voce da dentro mi diceva, vai non preoccuparti troverai comunque un’anima buona che risolverà tutto.
Vedevo i primi lampioni di Munchwilen almeno credevo che fossero, ma poi un cartello stradale bene in vista anche di buone dimensioni su cui vi era scritto: Staat: Schweiz Stato SVIZZERA
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Kanton: Thurgau (TG) Cantone TURGOVIA Bezirk: Münchwilen Distretto MUNCHWILEN
Geschichte in den Artikeln (Frazioni di): Oberhofen bei Münchwilen, St. Margarethen und Holzmannshaus
Il cuore mi si allargò quasi a voler esplodere di gioia, quella strada doveva condurmi per forza in qualche piazza, magari trovavo qualche bar aperto dove poter chiedere e così cominciai a camminare con il passo veloce, le gambe andavano per conto loro, non ero io che le stavo guidando, percorsi ancora un centinaio di metri e vidi tre ragazzi che venivano verso di me, due avevano la pelle bianca ed un altro scuro, tirai fuori il contratto di lavoro e gesticolando indicai l’indirizzo che avevo scritto sul retro.
Uno dei due ragazzi con la pelle chiara e biondo di capelli, lesse l’indirizzo poi girando il foglio vide il mio nome la provenienza ed anche quello di chi mi aveva fatto avere quel contratto ed guardando verso il cielo fece una esclamazione in napoletano: ebbi un momento di smarrimento, in Svizzera al confine con la Germania dove tutti parlano tedesco, vado ad incontrare una persona che parla la mia lingua e per dipiù in dialetto napoletano.<> così era il suo soprannome in quanto alto e magro come un chiodo, quindi da Trave il diminutivo Travetta> non sapevo cosa rispondere, mi presero la valigia , la borsa e la chitarra che era nella custodia ed andammo verso la piazza dove si fermava il trenino, mi fecero salire in macchina e mi accompagnarono alla frazione di ST. Margarethen.
Dal centro dove si fermava il trenino, si andava in una lunghissima strada diritta, poi ho scoperto il nome:”Weinfelfenstrasse,perché portava direttamente al paese di Weinfelden, forse 2,5 km piena di lampioni che sembrava illuminassero a giorno, poi una svolta a sinistra ed arrivati alla Paffembultrasse. N. 12.
Scendemmo dalla macchina dirigendoci verso una bellissima casa bianca, con finestre e senza balconi, una bellissima costruzione, erano appartamenti che l’Azienda Tullindustrie AG dava con una affitto contenuto ai propri dipendenti.
Nove appartamenti in tutto, dove vigeva un rigido regolamento condominiale ed alle 22,00 bisognava osservare un assoluto silenzio, se si aveva gente che si tratteneva a chiacchierare arrivava immediatamente il capo casa, svizzero e referente dell’azienda, che diceva di fare silenzio.
Una casa di nuova costruzione, con appartamenti fatti ad “elle” , studiati per ottimizzare massimizzando gli spazi, una disposizione a me sconosciuta.
Infatti: entrando a sinistra vi era il bagno completo di doccia, l’ampio ingresso comprendeva due lettini con comodini ed un armadio, a sinistra una cucina bellissima, con pensili, per il contenimento dei piatti e altra roba da cucina, frigorifero incorporato, cucina 4 fuochi con cappa, alimentata a gas che arrivava direttamente dalla società, forno elettrico e nel sotto lavello anche il contenitore dei rifiuti, tavolo con quattro sedie, pavimento tutto in linoleum e tutte le pareti pitturate con una pittura lavabile che al sole brillava.
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Mio cugino Tonino, mi abbracciò chiedendomi se fossi stanco, fece accomodare i tre ragazzi che erano amici suoi, giocavano a calcio nella squadra del Sirnach, uno di questi lavorava nella Tullindustrie, offrendogli una birra gli disse di fare silenzio, infatti immediatamente arrivò il capo referente dell’azienda parlando in tedesco ed un poco in italiano, invitando mio cugino a mandare via quella gente.
Di fretta finirono di bere quella birra, tentai di ringraziarli per il favore che mi avevano fatto, ma andarono via ridendo, dicendo che ci saremmo rivisti.
Tonino mi chiese se avevo fame, ma vista l’ora tarda mancava poco alle una di notte, dissi che mi rifacevo a mezzogiorno, allora li a destra vicino la porta di ingresso c’è il bagno poi vai a letto, io devo alzarmi presto perché faccio il turno del mattino ed inizio alle sei.
Quando ti svegli, fai colazione e poi se sei capace a far da mangiare, in cucina c’è tutto io alle 13,05 sono qua, così mangiamo insieme e mi racconti qualche cosa.
Andai al bagno, mi diedi una sciacquata alla faccia, le altre cose più urgenti, tirai fuori il pigiama e non capendo più nulla crollai a letto.
Forse per la grande stanchezza, la notte la passai a sognare. Sognavo di essere ancora a Colli con gli amici a suonare nel Club ed a parlare e ballare con una ragazza (Elodia) che mi faceva battere il cuore.
Notte lunga e profonda, effettivamente non mi ero trovato più né in cielo e né in terra, una lunga dormita fino alle 9,00 del mattino.
Mi diressi subito vicino la finestra a guardare fuori, case in legno con tetto spiovente molto ripido, grosse piante di tiglio e nella piazzetta di lato un parcheggio con dei pini altissimi, delle persone che incontrandosi si salutavano, borbottando qualche parola, poi ho scoperto che si davano il buongiorno (Guten Tag) mi sembrava essere in un altro mondo e lontano anni dal mio paese.
Andai in bagno, una bella doccia salutare, feci anche la barba, per modo di dire avo solo della peluria che intendeva poi diventare barba, finito poi di cambiarmi e sistemare il letto andai alla cucina.
Volevo fare colazione, impiegai diverso tempo a scoprire modalità ed impiego di quelle attrezzature che per me erano fantascienza come l’ultimo libro che avevo letto “20.000 leghe sotto i mari” di Jules Verne.
Mai visto cose simili, ma essendo anche intraprendente, riuscii ad accendere un fuoco facendo riscaldare del latte che era in frigorifero, lo versai in una tazza presi dei biscotti e feci colazione di gusto.
Sparecchiai il tavolo mettendomi poi a guardare nei vari pensili e cassetti cosa trovavo per poter preparare il mangiare.
Nel frigorifero c’era un pezzo di guanciale, trovai della cipolla e pelati, misi immediatamente a cucinare il sugo,
In un tegame profondo, misi la cipolla pulita tagliata a fettine sottili, il guanciale tagliuzzato a dadini grossolani ed olio di oliva, lasciai soffriggere e quando il tutto fu ben rosolato misi dentro due barattoli di pomodoro pelati che avevo schiacciato con la forchetta e tolto la testa.
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Lasciai cuocere lentamente, vi aggiunsi del sale perché assaggiando mi ero reso conto di non averlo messo, infatti era insipido, ogni tanto mescolavo per paura di bruciarlo facendolo attaccare al fondo.
Nell’aria cominciava ad aleggiare leggero profumo che metteva un languorino allo stomaco, ma era molto presto per pensare di mettersi a mangiare, poi dovevo per forza aspettare l’arrivo di mio cugino, anzi era lui che mi aveva dato l’orario di arrivo e poi…. mi stava ospitando.
Quindi per il primo piatto una bella pastasciutta , per secondo avevo visto che c’era della carne, e delle patate pensai di poterla cucinare assieme alle patate.
Dopo aver trovato e sbucciate quelle patate, tagliata a pezzetti quella carne, mi misi a preparare questo secondo piatto.
In un nuovo un tegame versai dell’olio, tre spicchi di aglio con la camicia che facendolo soffriggere dava l’odore e condimento necessario al piatto per poi toglierlo in quanto non adatto ad essere mangiato per via della pesantezza dell’alito, poi far indorare la carne cercando di muoverla costantemente per non farla attaccare ed infine metterci insieme le patate precedentemente fatte a pezzetti, infine una spolverata di sale.
Tutto procedeva nel migliore dei modi sia il sugo che andava alla grande che il tegame con la carne e le patate, anche lui non era da meno per il profumo intenso di patate che stavano friggendo, di sicuro anche lui istigava il mio corpo tramite la mia bocca all’assaggio.
Preparai la tavola imbandendola con tovaglia, tovaglioli bicchieri e posate, misi anche la grattugia che avevo trovato nel cassetto delle posate ed un pezzo di formaggio parmigiano da grattugiare.
Mancava solo l’acqua ed il vino perché nonostante il mio impegno a cercarli non ero riuscito a trovarli, di sicuro Tonino sapeva dove erano. Continuavo a controllare l’orologio appeso sulla parete si fronte alla cucina, un vecchio orologio a cucù molto bello, con il meccanismo disposto in un modellino di casa svizzera con all’interno coppia di ballerini che si giravano allo scandire di ogni ora e l’uccellino che si affacciava dalla finestra, forse era di proprietà dell’azienda, non lo chiesi mai. Alle 12,30 accesi il fuoco e misi sopra la pentola con abbondate acqua che salai coprendola con un coperchio, preparai la pasta, spaghetti n° 5 e mi misi seduto ad attendere il bollore. La pasta generalmente impiega 10- 12 minuti a cuocersi, quindi verso le 12,50-55 dovevo buttarla nell’acqua che bolliva, perciò ero completamente nei tempi e dovevo farlo meravigliare per quello che avevo cucinato. Scattata l’ora giusta versai gli spaghetti nella pentola, cercai poi di accompagnarli con le mani facendoli piegare tutti nell’acqua, cercai di smuoverli con un forchettone, coprii nuovamente la pentola per portare l’acqua al bollore. Il sugo era bello pronto, anzi un cucchiaio bello pieno lo portai alla bocca facendo un assaggio da consumato Chef, non per vantarmi, ma era molto buono, gustoso e salato al punto giusto. Voi comunque vi state chiedendo, se avevo cucinato altre volte, ebbene lo avevo fatto tante volte e per diversi motivi: - Perché con i genitori che erano costantemente impegnati nei campi, dovevi per forza arrangiarti;
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- Al club Ciao Amici di cui vi ho parlato all’inizio, avevamo anche un locale adibito a cucina e spesso e volentieri oltre ad esserne il Presidente, ero anche il grande motivatore ed organizzatore di cene a base di pastasciutta, carne al sugo oppure alla brace, per il vino di nostra produzione, lo spillavo dalle botti presenti nella cantina, naturalmente all’insaputa di mamma e papà.
- Perché non ho mai visto o giudicato nel mio breve percorso di vita, ostacoli insormontabili.
Ero animato sempre dalla voglia e volontà di applicazione a risolvere gli eventuali problemi che venivano a manifestarsi, raro che mi sono lasciato andare di fronte a problemi.
E’ il mio carattere, non ho comperato nulla, ti viene dato, credo, al momento del concepimento e non è cosa che può essere acquistato o acquisito nel tempo. Insomma, bisogna nascerci e parafrasando il grande attore comico ed intellettuale napoletano Totò, “ed io modestamente lo nacqui”.
Non sono un vanitoso, neanche uno che si mette in mostra, ma spesso ho fatto valere queste qualità che abbinate con lo studio l’approfondimento e il lavoro, sono state una miscela che certamente non a tutti ha fatto piacere.
La pasta ormai era quasi pronta, lo scolapasta nel lavello con l’acqua fredda aperta allo scopo di evitare di buttare acqua bollente nei tubi ed anche per abbattere il vapore, la tolgo dal fuoco del fornello e comincio a scolarla, in quel momento arrivò Tonino, che salutandomi andò velocemente a sciacquare le mani, metto del sugo nella pasta la giro ben bene e faccio un bel piatto che lo poso dove si era seduto mio cugino che nel frattempo era tornato, predispongo l’altro per me e mi siedo.
A proposito, vi ho detto che mio cugino lo chiamavano “La travetta perché era alto e smilzo”, invece l’avevo trovato molto cambiato e più che una travetta era diventato un bombolone, pesava oltre i 100 chili, insomma un omone, nonostante giocasse molto a calcio nel ruolo di attaccante.
Versò il vino nei bicchieri, si sistemò per bene la sedia, guardò il piatto ed arricciò la fronte dicendo: “Speriamo bene”, dopo un paio di forchettate e disse: “ Complimenti, gli spaghetti sono veramente buoni. Sei stato bravo, il tuo modo di cucinare mi ricorda lo stile di tua madre, Zia m’ncuccia (Zia Domenica)”.
Mi rincuorai per quell’apprezzamento ricevuto, avevo superato solamente il primo esame, poi aspettavo il responso per il secondo piatto ed a seguire, ovviamente nei giorni e mesi seguenti anche sotto l’aspetto comportamentale e del lavoro.
Non volevo e non potevo assolutamente farlo sfigurare e quindi dovevo impegnarmi al massimo anche se ero completamente all’oscuro di quello che doveva essere il mio lavoro, di chi dovevo frequentare come amici, se trovavo qualche giovane a cui piaceva suonare la chitarra.
Tutte domande comprese le risposte, che la mia mente aveva posto e realizzato in una frazione di attimo, poi il rientro alla tavola in quanto mio cugino, in un attimo aveva già terminato gli spaghetti e stava facendo la scarpetta al sugo del piatto.
Lasciai di mangiare presi un altro piatto lo riempii con un paio di mestoli dello spezzatino con patate e lo posi davanti a lui che non esitò a divorarlo, non ho mai saputo se per fame oppure perché era di suo gusto, però quella al termine, mi incaricò che ero io l’uomo del mangiare.
Terminammo e disse che dopo il riposino, mi portava a fare un giro per la frazione e nel centro di Munchwilen e anche il percorso e dove il lunedì dovevo presentarmi in azienda con il relativo percorso.
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Finimmo di mangiare, lui si sdraiò sul letto ed io mi fermai a sparecchiare la tavola ed a lavare piatti e pentole. Al termine mi allungai un pochino sul letto con gli occhi rivolti al soffitto guardando perso nell’etere.
Vagavo con i pensieri e già mi tornava in mente quello che avevo lasciato, forse per colpa della mia testardaggine o addirittura per un capriccio dovuto alle esuberanze giovanili ed alla contestazione verso i genitori.
Mio cugino si alzò e dopo essersi lavato per bene e cambiato disse che mi faceva fare un bel giro in lungo e in largo, naturalmente gli dissi che della lingua tedesca non conoscevo neanche una parola, lui disse di non preoccuparmi che imparavo di fretta.
A piedi mi indicò la strada del lavoro, la Tullindustrie AG, dicendomi di segnare mentalmente il breve percorso, dopo neanche cento metri entrammo, da una porta secondaria, l’usciere lo vide e ci lasciò passare, attraversammo un sotterraneo, poi le scale fino al primo piano, un centinaio di metri in tutto, mi indicò la porta dell’ufficio dove dovevo presentarmi e poi il percorso a ritroso.
Tornati sotto casa, mi fece salire sulla sua macchina che aveva comperato da appena un mese che ancora doveva terminare il famoso tagliando, una 124 Fiat di color avorio con la velocità massima dichiarata era di oltre 140 km/h, per quei tempi acquistare una macchina simile significava aver raggiunto un discreto livello sociale o quantomeno un buon stipendio.
Cominciò a farmi da guida partendo dalla frazione di ST Margarethen, questa è la chiesetta di Santa Margherita, ma io non entro quasi mai, questa è il bar con annessa macelleria, qui abita la signora che mi lava e stira i panni, questo sulla destra è il Ristorante “Restaurant Emil Schöflisberg”, a sinistra la posta che contrariamente che in Italia è gestita da privati, qui sulla Trungerstrasse il Restaurant Frohsinn.
Così risalimmo la Weinfeldenstrasse arrivando direttamente nel centro dove si fermava il trenino Wil – Fraunfelden, sulla sinistra il “Restaurant Krone” poi sulla Säntisblick il Gasthaus Säntisblick.
Non ricordo quanti me ne indicò ed in quanti di questi Ristoranti che erano anche bar in cui entrammo e ogni volta trovavamo dei sui amici e lui ordinava una birra per tutti, non né potevo più per quanta ne avevo bevuto e quanti saluti e pacche sulle spalle.
Credo che ci fossero tutte le regioni d’Itali, Friulani, Veneti, Lombardi, Laziali Abruzzesi, campani ecc; tutti trapiantati e con la Svizzera diventata seconda patria, una seconda mamma in quanto permetteva di lavorare e campare la famiglia.
Nel lungo giro panoramico e di conoscenza che mi fece fare, mi portò a vedere anche il Centro Sportivo dove lui giocava, e rivolgendosi verso di me mi chiese se anche io giocavo e in quale ruolo, gli risposi che me la cavavo discretamente nel ruolo di portiere.
Quanta gente che conosceva, quanti saluti, e lì capii, rimanendo favorevolmente colpito, che dopo diversi anni di permanenza era diventato un uomo stimato ed amato da tutti.
Rientrammo a sera inoltrata a ST. Margarethen, mi portò direttamente da Bischof un bara trattoria, ordinò delle Servelade alla piastra con una salsa da contorno e da bere ovviamente “birra”.
Non avevo mai mangiato una cosa simile, chiesi cosa erano e a quale bestia appartenevano e lui mi disse che quella era una loro specialità fatta con i rimasugli della carne di maiale e di manzo e che in tutte le trattorie ed in tutte le feste di paese non mancava mai una griglia con queste Servelade.
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Ci fermammo a lungo perché arrivarono dei sui amici veneti ed insieme si misero a giocare, naturalmente sempre con la birra a portata di mano, mancava una ora alla mezzanotte quando il titolare uscendo dal banco disse a voce alta: “Polizii, Polizii Stunt” o almeno io capii così, passo fra i tavoli ritirando le carte da gioco, mio cugino mi spiegò che alle ventitré per legge cantonale era proibito giocare, ovvero si poteva giocare non oltre quella ora e l’ora era già passata.
Nessuno reclamò, era la legge ed andava rispettata, rimasi meravigliato perché al mio paese si giocava fino a notte inoltrata ed il barista pazientemente aspettava il termine, anzi spesso si univa al gioco.
Salutammo tutti i presenti, salimmo di nuovo in macchina ed andammo a casa che distava molto poco dal bar, parcheggiò e salimmo in casa facendo assoluto silenzio per non urtare la suscettibilità del referente aziendale che già la notte del mio arrivo era intervenuto per chiederci di fare silenzio.
Entrammo in casa, una breve rinfrescato e via sotto le coperte, in casa c’era anche un bel caldino, il riscaldamento era centralizzato e quindi quel tepore ci condusse direttamente nel mondo dei sogni.
Dormii profondamente, forse non ero abituato al giro dei ristoranti ed a tutte quelle birre, a tutta quella gente, una marea.
Fra l’altro durante quel giro, incontrammo anche diversi compaesani, Emidio, Antonio, Pasquale e tanti altri ancora e a dire il vero mi si allargò il cuore, non tutto era lontano ma qualche cosa del paese era con me.
Ci svegliammo tardi, erano quasi le nove e dopo esserci lavati e fatta una abbondante colazione, mi disse che uscivamo, era domenica l’occasione per fare altre conoscenze almeno fino al mezzogiorno, poi il pomeriggio essendo i campionati di calcio svizzeri fermi nel periodo invernale, non ci rimaneva l’ascolto delle partite alla radio in quanto si riusciva a prendere la frequenza italiana di “Tutto il calcio minuto per minuto”.
8 Gennaio 1967- 15^ giornata di andata del Campionato di calcio a 18 squadre, la Juve che giocava in casa col Mantova pareggiò 1 a 1, il Milan con il Torino pure fece pareggio 1 a 1 e anche l’Inter con il Napoli fuori casa uscì indenne pareggiando a reti inviolate.
Questo del 66/67 fu un campionato combattutissimo e la mia Juve riuscì ad effettuare il sorpasso il 28 maggio beffando l’Inter nell’ultima giornata che a sua volta riuscì in casa del Mantova a perdere lo scudetto che sembrava acquisito, con il risultato finale di 1 a 0 e la Juve vinse in casa contro la Lazio per 2 a 1. Campionato e scudetto rimasto nella storia.
Mamma che ricordi, anche se a distanza di oltre 50 anni ancora tornano in mente anche se sfocati parte dei fotogrammi dei festeggiamenti, anche se in tono pacato perché in Svizzera erano e forse sono ancora molto severi.
Passò anche quella domenica che precedeva il mio ingresso in fabbrica, la Tullindustrie AG aveva cica 300 dipendenti e produceva materiale tessile, in particolare tendaggi di alta qualità che esportava in tutta l’Europa.
Il lunedì dovevo presentarmi alle sette, Tonino effettuava ancora il primo turno che iniziava alle 6,00 e la sera prima di coricarci mi raccomandò la puntualità e se del caso mettere la sveglia, naturalmente risposi che non avevo bisogno.
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Infatti come volevasi dimostrare mi svegliai alle 7,00. Panico generale, una sciacquata, misi di corsa i panni e via veloce verso l’azienda, entrai credendo di ricordare il percorso, invece sbagliai non riuscendo più a capire come fare.
Era notte fonda, mentre girovagavo cercando la strada giusta, incontrai un’anima pia che leggendo il contratto che avevo appresso mi portò direttamente all’ufficio di assunzione e gestione del personale.
Mi ricevette un signore alto e magro, un bonaccione che però mi diede subito il buongiorno e con un italiano stentato ed approssimativo disse:<< Giosepp, è solo il primo giorno e cominciare con multa per ritardo>> potevo sprofondare lo avrei fatto, ero diventato rosso come un pomodorino di Pachino, mi scusai modello Fantozzi, quasi prostrandomi ai suoi piedi, mi fece firmare dei documenti, mi dotò di opportuna tuta da lavoro e poi mi accompagnò al reparto.
Lui era il capo assoluto di quel reparto ed era responsabile sia del personale che della produzione, entrammo da una porta che al nostro passaggio si aprì da sola, sembrava fantascienza, un salone grandissimo, sulla destra i telai tutti in fila distanziati agni 4 metri erano di dimensioni 3 metri per una lunghezza che variava dagli 8 ai 12 metri.
Telai tutti in metallo che facevano un rumore assordante, ne contai una ventina, vi era un operatore ogni 4 macchine, mentre sulla sinistra c’erano una serie di banchi quadrati dove venivano preparate le spolette con il filo che andavano inserite nel telaio mobile, sotto il telaio vi erano dei tubi lunghi 4 oppure 5 metri dove si arrotolavano i tendaggi .
Ad ogni banco 4 donne, una per lato che sistemavano e controllavano le spolette infilando anche il filo nell’asola e poi le mettevano rigorosamente in fila nelle cassette che poi andavano a servire gli operatori dei telai.
Il signor Hainz mi accompagnò alla mia postazione spiegandomi cosa dovevo fare, una cosa molto semplice, dovevo preparare le spolette per i banchi di lavoro.
Questo lavoro consisteva nel gestire una piccola macchina che inserendo dei dischi di filo nelle spolette vuote, girando inseriva i dischetti nella spoletta, naturalmente dovevo alimentarla inserendo nei contenitori della macchina dischetti e spolette, fare attenzione a non farli incastrare, raccogliere le spolette complete ed inserirle negli appositi contenitori che poi passavano alla verifica delle donne ai banchi di lavoro.
Impiegai poche ore a capire il funzionamento e con un crescendo da solo riuscivo a tenere testa alla macchina, procurarmi il materiale e consegnare ai banchi quello lavorato.
Quel reparto era con personale prevalentemente femminile, tranne quello ai telai che erano uomini e quasi tutti sposati, siccome mi rimaneva anche del tempo libero chiaramente lo impiegavo volentieri a chiacchierare con le donne, avevo solo 17 anni e mi tiravano da una parte all’altra.
Avevo messo gli occhi su una bella ragazzina di 16 anni della provincia di Caserta, di nome Pina, capelli biondi e ricci occhi marroni penetranti, portava un camice nero come tutte le donne, ma lei lo aveva lavorato in modo da mettere in risalto le sue forme.
Quando la vedevo o rimanevo a parlarci, il cuore mi batteva, mi piaceva, ma era molto seria e non voleva assolutamente accettare di uscire o avere un rapporto più serio. Eravamo troppo giovani per rapporti duraturi.
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Però le donne mi contendevano, anche quelle mature, e nel reparto era sempre festa, finché non arrivò il signor Hainz e prendendomi da parte disse: << Josep, domani cambiare lavoro, vai insieme al gruppo di manutentori che riparano i telai>>
Fine della storia nel reparto con quelle donne che mi adoravano come un santo, dal primo lunedì di Aprile cambiavo lavoro, nonostante io non volessi. Amavo troppo quel posto e quel lavoro che per me era solo un divertimento in quanto riuscivo a governarlo nonostante il continuo aumento.
Comunque per me il tempo passava allegramente, fra il calcio, la chitarra che dividevo con il mio compaesano Emidio , ma all’agguato c’era una situazione inaspettata.
Cominciarono a farmi male i denti, a gonfiarsi la faccia e dovetti andare dal medico, che cominciò a curarmi credo con antibiotici ma il gonfiore non scendeva e fui costretto a stare a casa in malattia.
Tanto era grande il gonfiore che non riuscivo a mangiare nulla, bevevo solamente acqua e mi aiutavo con qualche brodino, ma una mattina non potendone più mi recai da un dentista e mi feci tirare, forse difficile da credere, ben tre molari.
Il dentista non voleva, ma io dissi che doveva procedere, non né potevo più, meglio morire sotto i ferri che aspettando lentamente.
Tornai a casa a piedi, la strada era tanta, lo studio dentistico era a Munchwilen e dovetti percorrere tutta la Weinfeldenstrasse, i famosi 3-3 km, giunto a casa misi sul fornello la pentola con acqua, misi dentro un dado di estratto di carne della Herio Lhandaus aspettai il bollore e versai della pastina tipo “midolline o risoni”, non ricordo con certezza.
Alla cottura cominciai a mangiare, prima con delicatezza e poi con voracità, la finii tutta, avevo della fame arretrata ed al termine mi misi a letto sazio.
Mi svegliai che stavo già meglio, il dolore era quasi sparito e mi era tornata anche un poco di forza, andavo forse più speditamente verso la guarigione. Ancora oggi non conosco le cause, forse l’acqua, forse il clima oppure era proprio la mia dentatura bisognosa di sistemazione.
Dopo un paio di settimane, ancora in malattia, forse erano trascorsi una quarantina di giorni, mi fece visita un dirigente della squadra di calcio in cui giocavo chiedendomi se avevo intenzione di partecipare ad un torneo di calcio a circa 800 squadre che si svolgeva a Weinfelden al confimil sabato e domenica successivi.
Risposi che essendo in malattia non potevo partecipare, potevo farmi male, potevo essere scoperto e poi cosa sarebbe accaduto’ lui tranquillamente mi rispose che non accadeva nulla, mai nessuno si era fatto male, i premi in palio erano tanti ed allettanti.
Il torneo era a 7 giocatori, le partite di due tempi complessivi di 30 minuti non vigeva il fuorigioco. I campi erano attrezzati e segnati alla buona, avevano tagliato l’erba dal prato ed il resto lo lascio alla immaginazione.
Le squadre venivano chiamate per nome dall’altoparlante che indicava anche il numero del campo, insieme agli altri miei compagni continuavamo ad allenarci, pensavamo die essere in grado di ottenere un buon risultato.
La nostra era una gran bella squadra, poi tutti si aspettavano da me, portiere di belle speranze, delle prestazioni eccezionali, poi le partite erano ad eliminazione diretta, quindi bisognava profondere tutte le energie disponibili per passare il turno.
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Ci chiamarono per la prima partita alle 9,30, che emozione, la nostra squadra chiamata dall’altoparlante “US Italiana capo 14”, una galoppata trionfale, avevamo fame di vittoria, così tutta la giornata, vincendo e passando al turno successivo.
La sera tardi con quattro macchine tornammo a casa, eravamo completamente cotti, distrutti dal grande impegno e dalla stanchezza accumulata, il dirigente disse di trovarci la mattina di Domanica davanti al Bar Macelleria Bishof.
La mattina successiva il tempo si mise a pioggia, un temporale eccezionale che riempì di acqua tutti i campi, verso il mezzogiorno mentre stavamo giocando, nel fare una uscita sull’avversario questo mi colpì con la scarpa sulla faccia.
Ero stato colpito involontariamente in quanto era scivolato su quel pantano ma avevo la faccia lacerata ed abrasa, mi portarono all’ospedale per le cure del caso e da lì cominciarono i miei guai.
L’ospedale comunicò all’azienda, l’azienda non mi pagò la malattia e dovetti restituire quanto mi era stato dato, pagare le spese dentistiche e le spese ospedaliere.
In sostanza rimasi senza un franco con debiti contratti con gli amici e quelli con mio cugino, che mi pagarono anche i biglietti di andata e ritorno per le ferie che dovevo fare rientrando a Colli.
Rientrai a lavorare in fabbrica, ma pensavo sempre a quello che mi era accaduto, con i se ed i ma è pieno il mondo, ma io avevo motivo di dolermi per quanto mi era accaduto.
Comunque andai a Colli, gli abbracci di mia madre che non toglierò mai dalla mente, quella stretta che quasi mi soffocava che come una cantilena ripeteva “ Figlio mio, figlio mio senza piume, avevi da mangiare anche qui”, poi tutti gli amici quelli del Club, una cavalcata di strette di mano ed abbracci.
Ritornai in Svizzera, ma il pensiero di rimanere si era molto affievolito, non mi piaceva più, il libretto degli stranieri in tasca, spesso riflettevo alle derisione che a viso aperto ci facevano, le cattive parole Zigeuner, Schwein ecc;
Manifestai questa mia voglia a mio cugino che non espresse alcuna posizione, poi lo accennai anche al mio capo in fabbrica che lo disse immediatamente ad Hainz che venne a parlare con me pregandomi di rimanere, mi avrebbe aumentato la paga e cambiato il ruolo, in me vedeva una possibile crescita utile alla azienda.
Mi dispiaceva lasciare gli amici che ormai ne avevo veramente tantissimi, mi dispiaceva lasciare le amiche soprattutto quelle più vicine a me, Pina G. di cui avevo parlato all’inizio e una spasimante della provincia di Avellino, se non ricordo male di Calitri di nome Anna.
Ci pensai ancora tantissimo, un pezzo di cuore e di me che propendevano a rimanere il rimanente diceva di mollare tutto e tornare al paese.
Verso la fine di Novembre presi la decisione, andai in direzione e diedi le dimissioni ultimo giorno di lavoro 17 dicembre 1967, all’uscita erano tutti con gli occhi bassi a testimoniare anche il dolore e la sofferenza per una decisione che avevo preso, ma che soprattutto non ero più dei loro, nei comportamenti e nelle scenette quotidiane.
Tornai a Colli feci le feste di Natale e Capodanno, cercai inutilmente di trovare del lavoro adatto alle mie possibilità ed attese, niente, nessuna porta si era aperta ai miei sogni di un lavoro in loco.
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Morale, dissi ai miei, riparto per la Svizzera, così il 18 Gennaio presi nuovamente il treno direzione Svizzera, senza contratto di lavoro, avevo immaginato di entrare come turista e poi trovare un lavoro per fermarmi, pensavo anche che il signor Hainz mi avrebbe ripreso in fabbrica.
Avevo fatto i conti senza l’oste, alla dogana di Chiasso piena di siciliani che causa terremoto quello catastrofico di Gibellina, Salaparuta, Santa Ninfa del 15 gennaio cercavano di allontanarsi e causa il mio biglietto di solo andata, mi rispedirono con il primo treno utile.
Ero distrutto dai pensieri e dal dolore, con pochi soldi e non sapere dove andare, mentre ero intento i miei ragionamenti con la testa che emetteva fumo, mentre il treno stava entrando nella stazione di Milano Centrale, mi si accese la lampada.
Vado a Treviglio dove ho uno zio ed un fratello, di sicuro troverò ospitalità e lavoro, detto fatto, presi il treno per Treviglio ed andai non da mio fratello ma da mio zio che abitava in centro, sapevo l’indirizzo e chiedendo in giro, questa volta in italiano, riuscii ad arrivare a destinazione.
La settimana successiva iniziavo a lavorare presso la Soc. Brulli Impianti Elettrici, poi una fugace apparizione presso la SAME trattori e per finire quasi 35 anni presso le Ferrovie dello Stato arrivando ad essere Quadro Dirigente del settore Infrastrutture.
A Colli ho fatto ritorno spesso ma solo per ferie e andare a trovare e salutare i parenti.
Colli mi è rimasto nel cuore come il primo amore che non si sposa mai, io l’ho amato e lo amo tuttora dedicandogli libri, poesie e commedie, ma a Treviglio ho trovato la pace, dove ho messo su casa e famiglia, ed oggi mi godo i miei nipoti che mi vogliono bene e non si stancano mai di dimostrarmelo. Della Svizzera mi resta il ricordo, quello di un ragazzino alle prime armi che tenta di camminare con le proprie gambe, come quando l’uccello deve spiccare dal nido il primo volo, quella esperienza mi è servita come base della mia vita, ringrazio quel paese che con severità mi fece capire di non sbagliare, mi fece capire che bisogna percorrere sempre la strada dritta dell’onestà.
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